Un museo a cielo aperto
Per raccontare il cantiere in cui Casada sta operando, abbiamo intervistato Pierluigi Piccaluga, vicepresidente Fondazione Prada; Andrea Demarta, direzione lavori; Giorgio Nogara, archeologo e referente del progetto per l’Ufficio Beni Culturali cantonale; Renzo Bagutti, architetto e Denis Riboni, capocantiere Casada.
Qual è la particolarità di questo villaggio? (risponde Pierluigi Piccaluga)
“Prada era un villaggio abitato tutto l'anno. La prima citazione storica di Prada ricorre all'anno 1381 e la si trova nell'elenco dei beni del comune di Bellinzona. Gli abitanti di Prada erano considerati alla pari degli abitanti di Bellinzona. Erano cittadini di Bellinzona e godevano degli stessi diritti di chi viveva all'interno delle mura. Probabilmente già nel 1200 Prada era abitata. Il sito si trova a circa 570 metri sul livello del mare, ben esposto e gli abitanti vivevano essenzialmente di pastorizia, allevamento e agricoltura. Nel XVI secolo la coltura più redditizia era la vite. Dobbiamo perciò pensare che dove adesso c’è il bosco era tutto coltivato e la coltivazione della vite arrivava fino a lambire le case”.
Come è nata la fondazione?
P.P: “Tutto è partito nel 2014, con la presentazione di una ricerca storica, un libro che descrive la storia di Prada. È stato presentato al pubblico della città di Bellinzona, alla presenza anche delle autorità comunali. E lì è praticamente stato deciso di convocare tutti gli attori e coinvolgere il Dipartimento del Territorio, l'ufficio Beni Culturali, i quattro patriziati: Daro, Carasso, Bellinzona e Ravecchia. Così nel 2016 è stata istituita una fondazione per poi elaborare un progetto di conservazione di tutto l'insediamento di Prada”.
Qual è il vostro obiettivo? Cosa immaginate che possa diventare Prada in futuro?
P.P: “L'idea è di sanificare tutte le case, ma di non portarle a tetto perché è impossibile ricostruirle visto che non abbiamo immagini di come erano in originale le case. L’obiettivo e di fare diventare Prada un museo a cielo aperto. Logicamente, per far questo, abbiamo bisogno anche di risorse finanziarie. E qui ci vengono in aiuto gli enti federali, cantonali e comunali e alcune fondazioni della Svizzera interna, oltre ad altri privati, che ci sostengono in questo sforzo che ogni giorno riserva delle sorprese”.
Quando siete arrivati cosa avete trovato? (risponde Andrea Demarta)
“Prada era conosciuto come villaggio fantasma in mezzo al bosco, in effetti aveva un po' quella connotazione con la vegetazione che aveva invaso le case. Ciò comporta problemi alla stabilità degli edifici. Oltretutto non si aveva l'idea dell'ampiezza delle costruzioni, delle abitazioni, l'estensione del villaggio e lo stato di conservazione. Quindi come prima cosa per poter agire e preservare Prada era imperativo bloccare il degrado dovuto alle piante e quindi togliere la copertura arborea che c'era, che era uno dei maggiori fattori di crollo delle costruzioni.
Ora è in corso un intervento di restauro conservativo. Da questo punto di vista, l’attività di cantiere richiede alcuni accorgimenti particolari?
A.D.: “Possiamo ricostruire dove abbiamo la conoscenza che una data cosa era fatta in un dato modo. Perciò, dove possibile, evitiamo l'utilizzo di materiali estranei, se non puntualmente per consolidamenti nascosti dove è necessario. Usiamo i sassi originali del posto, che provengono dalle costruzioni e se possibile ricollocandoli nelle loro posizioni originali. Per le malte di calce abbiamo dovuto provarne un paio per trovare quella che meglio si integra in questo tipo di costruzione, sia a livello di solidità sia anche di colore. Fare un restauro conservativo vuol dire essere il più fedeli possibile all'originale. Ma bisogna considerare che nell'arco di generazioni, vengono fatte modifiche, aggiunte, demolizioni. Perciò occorre scegliere di restare fedeli alla casa in un certo momento storico".
Le case non saranno interamente ricostruite, ma ci sarà una ricostruzione virtuale? (risponde Renzo Bagutti)
“Gli edifici vengono consolidati, ma nessun edificio viene completato. Ci sarà invece un completamento virtuale. Alla fine dei lavori verrà rilevato tutto quello che si è consolidato e conservato e virtualmente verrà ricostruito tutto il villaggio, così che attraverso una serie puntuali di codici QR disseminati lungo il percorso, disseminati anche all'interno del villaggio, si potrà accedere al sito e lì ottenere tutte le informazioni che sono state raccolte nella fase di ricerca e nella fase di restauro”.
Al di fuori del sito archeologico ci saranno degli interventi sulla chiesa, su altri edifici?
R.B.: “Sì. Grazie alle competenze acquisite e alle informazioni raccolte nella prima e nella seconda fase, mettere a tetto un rudere che è sotto la chiesa. È stato denominato la Ca’ da Prada e lì ci saranno spazi per l'accoglienza dei turisti, spazi funzionali, magazzini, servizi, ecc. Verrà sistemato anche il sagrato della chiesa con la costruzione di muretti a secco. E sarà data al sagrato una nuova forma per un utilizzo più razionale”.
Quali sono state le ragioni di un repentino abbandono del villaggio? (risponde Giorgio Nogara)
“Le ragioni dell’abbandono non sono accertate, ma è molto probabile che sia a causa di uno smottamento che ha deviato il corso d’acqua che vi era all’epoca. Abbiamo due o tre canaloni dove scorreva acqua ma che ora non ne trasportano nemmeno con forti precipitazioni. Vi è da dire che qualunque sia la causa quando se ne sono andati hanno portato via anche tutte le piode e le travi dei pavimenti e dei tetti, questo ha fatto sì le case siano poi crollate più velocemente".
Qual è il ruolo di un archeologo in un cantiere come Prada?
G.N.: “Dobbiamo vedere che si ricostruisca senza inventare niente. Bisogna ricostruire solo ciò di cui siamo sicuri era fatto in un certo modo. Ovviamente più passa il tempo, più scopriamo e vediamo piccoli dettagli che ci porta a sapere dove c’era una porta o quanto era alta”.
Qual è la sfida di un capocantiere quando si trova a dover fare questo tipo di intervento? (risponde Denis Riboni)
È una sfida abbastanza impegnativa, sotto il punto di vista fisico, perché è un lavoro pesante, dovendo spostare sassi tutti i giorni. E poi occorre entrare nella mentalità, nel concetto di chi ha costruito questo posto. Bisogna ricostruire come han fatto loro, pensare ai mezzi che avevano, avvalersi di eventuali foto storiche.
Le tecniche costruttive utilizzate si avvalgono di materiali particolari?
D.R.: “Siamo riusciti a fare una miscela di malta, tra virgolette, antica, che è composta da due elementi, una malta bianca beige e una più scura giallognola che gli dà proprio quell’aspetto antico”.
L'esperienza di 22 anni in cantiere è servita?
D.R.: “Serve, e serve anche il fatto che sono una persona nata in montagna, cresciuta in montagna. Per me è un modo di ripercorrere anche il passato. Quando ero piccolo anch’io andavo al ruscello a prendere l'acqua perché non c'era ancora quella corrente. E vedevo mio padre e mio nonno che mettevano a posto i muretti di sassi. Perché o c'erano sassi o c'era legno, come qua”.